La "Strada della lana"
Da filatori e tessitori a operai
Sino al Sette e Ottocento, nelle vallate biellesi la lavorazione della lana rivestì per le famiglie contadine un ruolo fondamentale per integrare i magri proventi derivanti dall'agricoltura. Il passaggio degli artigiani lanieri a domicilio da questa condizione, dura ma sostanzialmente autonoma, a una situazione di dipendenza dai ritmi e dalle logiche del lavoro industriale, fu un processo lungo e tutt'altro che lineare, che comportò un mutamento sociale e culturale di ampia portata. Prima ad essere accentrata in fabbrica e meccanizzata, in seguito all'introduzione delle "meccaniche" nel Biellese (1817), fu la filatura: pur espropriando la famiglia contadina di una fase importante della lavorazione della lana, appannaggio tradizionale delle donne (le filere), questa innovazione venne accolta e "assorbita" senza determinare forti proteste. Quando intorno alla metà del secolo, per migliorare la qualità delle stoffe prodotte, gli industriali biellesi puntarono ad accentrare in fabbrica anche le operazioni di tessitura, molti artigiani acconsentirono a trasferirsi negli opifici - dove il loro lavoro continuò in quegli anni, per lo più, a essere svolto con i tradizionali telai a mano - ma rifiutarono di adeguarsi alle richieste di stabilità lavorativa avanzate dagli industriali e formalizzate nei cosiddetti "regolamenti di fabbrica". Quelle richieste, infatti, mal si conciliavano con l'esigenza di dedicare parte del tempo alla coltivazione della terra, importante fonte di sussistenza per la famiglia del tessitore. Fu proprio in difesa di una loro autonomia dal sistema di fabbrica che i lavoranti, organizzati in società di mutuo soccorso, diedero vita negli anni '60 e '70 a una lunga serie di scioperi. La risposta degli industriali fu, negli anni successivi, l'introduzione su vasta scala del telaio meccanico: pur comportando grossi investimenti, questa scelta infatti consentì loro di abolire i reparti di tessitura a mano, costringendo gli operai ad accettare ritmi e modalità di lavoro del "regime" di fabbrica. Un lungo ciclo si era ormai chiuso, un altro si stava aprendo. Quando nel 1889 il conflitto sociale si riacutizzò, le rivendicazioni operaie - abbandonati i precedenti terreni di scontro - puntarono piuttosto ad ottenere aumenti salariali, una diminuzione dell'orario e un complessivo miglioramento delle condizioni di lavoro. Era questa fra l'altro la strada per riaffermare la dignità di un "mestiere" che, seppure profondamente mutato, aveva forti radici nella storia e nell'identità della popolazione biellese. (Maria Luisa Barelli)
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