La "Strada della lana"
Dai monti al piano
La storia dell'industria laniera biellese non può essere raccontata senza far riferimento al paesaggio che ne è teatro: un paesaggio tipicamente pedemontano, per due quinti padano e per il resto alpino e prealpino, ricco di boschi e di acque, popolato in origine da comunità di piccoli agricoltori e di piccoli allevatori.
Su questo scenario la produzione della lana si muove, nell'arco di due secoli, dall'alto delle vallate alla pianura. È noto come le prime attività artigianali e proto-industriali in produzioni destinate al mercato si sviluppino in Biella fin dal Medioevo. Tuttavia, quando nel 1750 la provincia di Biella annovera i due terzi dei telai per panni di tutto lo Stato sabaudo, i centri importanti sono Trivero, Portula, Occhieppo Superiore, Vallemosso, Sordevolo, Crocemosso, Santa Maria di Mosso. Originariamente la produzione si svolge a domicilio, coordinata dal "mercante-imprenditore" che fornisce la materia prima e vende il prodotto finale. A partire poi dai primi decenni dell'Ottocento, con la progressiva meccanizzazione del sistema di produzione, la manifattura si sposta verso i fondovalle, lungo i corsi dei torrenti, in edifici verticali multipiano che sfruttano al meglio la forza idraulica come forza motrice e che con il tempo tendono a ospitare un numero sempre maggiore di fasi di lavorazione. Accanto all'accentramento dell'attività produttiva in stabilimenti industriali, l'industrializzazione del territorio comporta la realizzazione di infrastrutture, di collegamenti viari per merci e manodopera, di canali di derivazione per l'energia idraulica, di servizi diversi come scuole, asili, convitti e villaggi operai. Alla fine dell'Ottocento, il paesaggio biellese appare fortemente industrializzato, ormai costellato da grandi fabbriche e piccoli opifici, ma ancora segnato da un carattere di forte naturalità. La fase di stallo, se non di crisi, che l'industria laniera attraversa alla fine dell'Ottocento si interrompe quando, tra gli ultimi anni del secolo e i primi decenni del Novecento, l'introduzione dell'energia elettrica consente alle fabbriche di abbandonare i corsi d'acqua per collocarsi in aree pianeggianti, anche trasformando il loro aspetto architettonico attraverso lo sviluppo in orizzontale. La rinascita della produzione segna però il progressivo abbandono di molte delle architetture industriali delle valli, destinate nel volgere di qualche decennio a divenire reperti della cosiddetta archeologia industriale. (Marco Trisciuoglio) |
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